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ApprofondimentiTech Mar 14 marzo 2023

Digitalizzazione, negli uffici pubblici ognuno si fa le sue regole

Le amministrazioni vivono nella promiscuità analogico-digitale e la sfruttano per non essere trasparenti. Con la scusa della privacy Digitalizzazione, negli uffici pubblici ognuno si fa le sue regole PRESIDIO DELLA LEGA CONTRO LA CHIUSURA DELLA ANAGRAFE E UFFICI PUBBLICI
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

La macchina amministrativa fissa paletti per mantere lo status quo

Nell’Italia dei campanili anche la digitalizzazione della pubblica amministrazione vive di vita autonoma. Pur esistendo da tempo delle leggi chiare che chiedono innovazione e trasparenza, ogni ufficio si fa le sue regole sulle procedure online che finiscono spesso e volentieri col rendere difficile la vita ai cittadini. Qualche esempio può servire a capire qual è lo stato dell’arte in ogni angolo della Penisola.

A Roma, ad esempio, il Tar del Lazio non ha neanche una pec per l’Ufficio relazioni con il pubblico. Al Consiglio di Stato per accedere al proprio fascicolo, è necessario seguire una procedura con un appuntamento telematico della giustizia amministrativa. Ma non è detto che la richiesta vada a buon fine perchè l’ultima parola sull’accesso agli atti spetta sempre ad un magistrato che potrebbe negare la documentazione. Non necessariamente motivandone le ragioni. E la stessa procedura, pur trattandosi sempre di giustizia amministrativa, non vale per il Tar che ha regole proprie, oscure ai più.

L’Antitrust poi ha deciso di eliminare la pec come strumento di deposito delle denunce. Ora c’è un nuovo procedimento telematico così farragginoso, che la stessa autorità ha sviluppato ben tre video per spiegarla ai cittadini. Tempo per riuscire a depositare un esposto? Un paio di settimane circa. In compenso ci si può appellare all’ufficio solleciti. All’Agenzia per la Cybersecurity poi hanno ideato un sistema di selezione del personale quanto meno opinabile: un primo screening viene fatto via mail secondo criteri che però non vengono comunicati al candidato.

Celebre poi è diventato il caso del Comune di Milano che, a dicembre, aveva recovato la possibilità di scaricare i certificati anagrafici online “conto terzi”, identificandosi via Spid. La ragione? L’Ufficio del garante per la protezione dei dati personali aveva posto rilievi sulla tutela della riservatezza non solo per il comune di Milano, ma anche per tutte le amministrazioni locali italiane. Salvo poi fare marcia indietro nell’indignazione generale. 

Pubblica amministrazione che vai, regole diverse che trovi

Tutte ostili alla digitalizzazione e soprattutto alla trasparenza. Eppure sulla carta, si fa per dire, la vita dovrebbe essere più facile per tutti. Niente più code o appuntamenti. Solo richieste online, codici di accesso, riconoscimenti digitali, processi digitali che tagliano i tempi della giustizia come peraltro ci chiede da anni Bruxelles. E, invece, le cose non stanno affatto in questi termini.

“Abbiamo oggi un codice dell’amministrazione digitale e delle regole tecniche in mano ad Agid sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici che dovrebbero essere quelli generali per tutti. Peccato che poi se vai nel settore del fisco, della sanità, della giustizia, della scuola, del lavoro, ognuno si è fatto le sue regole tecniche. Tante volte sono persino in contraddizione con le linee guida di Agid. È chiaro che siamo nel caos”spiega l’avvocato Andrea Lisi, presidente dell’Associazione nazionale degli operatori della custodia dei dati informatici (Anorc). 

“Quindi più che la semplificazione grazie alla digitalizzazione siamo al broccardo di Tacito: Corruptissima re publica plurimae leges (moltissime sono le leggi quando lo Stato è corrotto, ndr) . Quando ci sono tantissime regole e non c’è semplificazione normativa , la digitalizzazione complica piuttosto che risolvere. E questo è purtroppo quello che sta accadento” aggiunge l’esperto che fa parte del Comitato tecnico per la digitalizzazione della Presidenza del consiglio, creato dal sottosegretario con deleca all’innovazione tecnologica, Alessio Butti

Solo un’amministrazione su otto segue le linee guida di Agid

Lo rivela uno studio di Anorc che verrà presentato il prossimo 23 marzo. In pratica ognuno fa come ritiene in materia di pubblicazione e conservazione dei documenti informatici anche all’interno dell’area dedicata alla trasparenza del sito istituzionale. Tutto questo impedisce di fatto alla tecnologia di rendere accessibili le informazioni ai citadini e trasparente l’operato della pubblica amministrazione. 

“Oggi qualsiasi cittadino può fare l’acceso civico generalizzato, il cosiddetto Foia, anche per atti di cui non ha interesse legittimo, quindi anche se non fa parte del procedimento. Tutto questo per favorire il controllo trasparente dell’operato della Pa. È chiaro però che se l’atto non è digitalizzato bene, si rischia di non avere applicati i principi del codice digitale, che ha ormai festeggiato di recente i 18 anni” aggiunge.

“Peccato che dall’analisi di Anorc si evince che la Pa non lo applica. Il risultato è che oggi rischi di avere accesso a database poco controllati, non digitalizzati con le amministrazioni che non trovano neanche gli atti perché mezzo archivio è analogico (cartaceo, ndr) e mezzo digitale. Altro che digital first, abbiamo amministrazioni che vivono nella promiscuità analogico-digitale e sfruttano quella promiscuità per non essere trasparenti e continuare ad essere opache”.

La privacy diventa la scusa per “limitare” la trasparenza

Spesso e volentieri il tema della privacy diventa la ragione per bloccare l’accesso alle informazioni ai cittadini. Ma nessuno ha mai previsto un smile slot alla circolazione dei dati, nemmeno in sede europea. “Quando si parla di privacy si fa riferimento al regolamento europeo 679 che invece è rubricato come protezione del dato personale e libera circolazione.

Chi dice che non può digitalizzare perché deve proteggere il dato e c’è la riservatezza, dice una balla perché allicando le regole europee, si libera il dato facendolo circolare da un’amministrazione all’altra” prosegue Lisi. È chiaro che il dato deve circolare in maniera controltata seguendo la finalità, la base giuridica. Su queste basi, la normativa europea sulla privacy non blocca la circolazione delle informazioni, ma anzi la facilità. 

“Il punto dolente è che digitalizzare comporta per qualsia pubblica amministrazione una perdita di potere. Il dirigente ha avuto sempre potere che io chiamo del cassetto chiuso, del fascicolo cartaceo che tiene chiuso in un cassetto e che riapre solo se è costretto. Con un processo digitalizzato, garantito da standard di interoperabilità, immodificabilità, integrità e accesso smonta il potere del cassetto analogico. Tutto questo fa paura alle pubbliche amministrazioni, ai vecchi poteri che preferiscono tenerli chiusi quei cassetti” chiarisce l’esperto.

“La digitalizzazione, quella seria, preceduta dalla semplificazione, i cassetti li apre, tutti. O meglio permette di aprili a chi ha le chiavi con i privileggi di accesso che non sono più in mano a pochi, ma in mano ai cittadini che conquistano il potere di controllo sull’operato della pubblica amministrazione grazie alla digitalizzazione. Tutto questo fa una paura incredibile e crea blocchi con normative che non sempre si parlano”. 

I documenti della Pubblica amministrazione

È previsto dalla legge già dagli anni ’90, ma il punto è che non ci sono sanzioni e ognuno va per conto suo. “I dati e i documenti delle pa devono nascere ìdigitali, non ci sono eccezioni, non problema normativo ma culturale. Ma se continuo a riceve pec, stampare, magari timbrare e poi scannerizzare è chiaro che il dato io non l’ho più. Ho una carta scannerizzata, un obbrobio assurdo che le pubbliche amministrazioni continuano a fare” precisa.

“Il dato deve essere digitale, inserito in un archivio a norma che ne garantisce integrità immodificabilit. Autenticità del dato e da li si può prelevare tutto documenti nativi informatici. Il problema è che non ci sono sanzioni. Come spesso accade, le regole ci sono, ma poi ognuno è andato per contoi suo e non ci sono le sanzioni” sottolinea Lisi. Il tema è noto al governo che proprio attraverso il Comitato sulla digitalizzazione sta studiano il da farsi attraverso un piano che verrà presentato a breve. 

Sullo sfondo c’è il rischio di una class action contro lo Stato

Sulla carta è quindi possibile che i cittadini o le associazioni dei consumatori muovano una causa contro lo Stato per vedere riconosciuti i proprio diritti. In tutti i settori, dalla sanità alla giustizia. Potrebbe accadere, ad esempio, nel caso degli esodati di AirItaly, che, pur esistendo il processo telematico, hanno atteso per anni la sentenza sul giudizio di licenziamento illegittimo. E, dopo aver vinto, si sono ritrovati addosso l’Inps che chiede indietro tutti gli ammortizzatori sociali. Un vero paradosso in cui i diritti dei cittadini sono calpestati da due rami diversi della macchina amministrativa. “I diritti di cittadinanza digitale ci sono, sono attivabili attraverso il Tar” spiega Lisi. Lo stesso che non ha una procedura telematica unica per accedere ai fascicoli. “Le resistenze sono ancora fortissime” ammette.  

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