La successione di Del Vecchio, i tempi e il vero «tesoretto» della famiglia
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Cronaca Mar 28 giugno 2022

La successione di Del Vecchio, i tempi e il vero «tesoretto» della famiglia

I tempi della sua successione saranno brevi e del resto Leonardo Del Vecchio aveva pensato per tempo alla sua successione. La successione di Del Vecchio, i tempi e il vero «tesoretto» della famiglia Imagoeconomica
Gianluca Paolucci
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Gianluca Paolucci

Ha lavorato per Reuters e La Stampa occupandosi di finanza, crac bancari, criminalità finanziaria e corruzione. Dal 2022 è caporedattore di Verità & Affari e scrive per La Verità e Panorama.

La successione di Del Vecchio

I tempi della sua successione saranno brevi e del resto Leonardo Del Vecchio aveva pensato per tempo alla sua successione: con una serie di modifiche allo statuto della cassaforte lussemburghese Delfin del marzo del 2021, si era tenuto il diritto di indicare lui stesso il successore alla guida della holding che raccoglie tutte le partecipazioni dell’imprenditore di Agordo, scegliendolo anche tra i manager esterni alla holding di famiglia. Dalla quota in Essilux a quella in Covivio (la ex Fonciere de Regions, 26%) le partecipazioni del 20% in Mediobanca del 9,8% in Generali e dell’1,9% in Unicredit. Più l’aereo personale, la marina di Porto San Rocco, nei pressi di Trieste, una serie di investimenti immobiliari.

Lo statuto di Del Vecchio

Lo statuto approvato nel marzo di un anno fa prevede che «nel caso in cui il Leonardo Del Vecchio cessi di detenere più del cinquanta per cento (50%) dei diritti di voto della società o di essere il dirigente A della stessa (anche in caso di incapacità)», l’imprenditore «sarà automaticamente sostituito, con effetto dalla data in cui cessa di detenere più del cinquanta per cento (50%) dei diritti di voto della società o cessa dalla carica, dalla persona eventualmente da lui designata in una dichiarazione scritta indirizzata al consiglio di amministrazione della società». In sostanza, a prendere il suo posto potrà essere anche un manager esterno alla holding.

L’identikit del manager esterno alla holding è quello di Francesco Milleri, da anni il manager più vicino all’imprenditore scomparso ieri e da tempo indicato come suo delfino. Sarà lui, salvo sorprese, a proseguire nella linea indicata da Del Vecchio anche le importanti e pesanti partecipazioni finanziarie della holding. La filiera Mediobanca-Generali, dove Del Vecchio ha dato battaglia al fianco di Francesco Gaetano Caltagirone – come nel lungo scontro per il rinnovo del consiglio del Leone -. E dove si stava preparando la nuovo scontro, con l’assemblea di Mediobanca di ottobre prossimo, forte del suo ruolo di primo azionista seppure stoppato dalla Bce dall’avere un peso anche nella governance.

Le ultime volontà di Del Vecchio

Dalla famiglia nulla trapela sul successore, se non che questa comunicazione arriverà «in tempi brevi» e probabilmente farà parte delle ultime volontà dell’imprenditore, le cui condizioni di salute sono peggiorate improvvisamente dopo una polmonite dalla quale sembrava. Anche se dagli ambienti a lui vicini è proprio il nome di Milleri, già amministratore delegato di EssilorLuxottica e membro del cda della Fondazione Leonardo Del Vecchio e dello Ieo, quello più citato.

Per quanto riguarda l’assetto proprietario della Delfin, anche questo era stato da tempo «sistemato». Del Vecchio aveva il 25% e possedeva diritto di usufrutto e quindi di voto per il restante 75% del capitale la cui proprietà risulta equamente divisa fra i sei figli, tutti con quote paritetiche del 12,5%: Claudio, Marisa, Paola, Leonardo Maria, Luca e Clemente. Adesso, i figli avranno il 12,5% ciascuno, mentre la moglie attuale, Nicoletta, in virtù di un accordo del 2016 avrà il restante 25%.

Il tesoretto di Del Vecchio

Saranno loro a spartirsi il ricco patrimonio della holding. Oltre 10,8 miliardi id euro di asset totali al 31 dicembre del 2020 (l’ultimo bilancio disponibile), 208 milioni di euro di utile netto nello stesso anno – in brusco calo rispetto ai 300 milioni dell’esercizio precedente -, poco meno di 4 miliardi di riserve accumulate e non distribuite. Più altri 4,2 miliardi di euro sottoforma di certificati azionari (redeemable preferred equity stock certificates, Pescs). La loro distribuzione ricalca quella dell’azionariato (Leonardo Del Vecchio ne aveva 262 mila, un quarto del totale) e rappresentano il vero «tesoro» della holding. Questa speciale categoria di titoli non figura nei bilanci della holding come capitale ma come debiti nei confronti dei detentori. Ogni anno riceve il 5% dei profitti e nel 2055 arriveranno a scadenza.

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