La sterlina crolla, meglio non fare come Londra
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Nuove Economie Mar 27 settembre 2022

La sterlina crolla, meglio non fare come Londra

Un venerdì nero per la sterlina che in un solo giorno si è svalutata del 3,4% sul dollaro rivedendo valori che non si registravano più. La sterlina crolla, meglio non fare come Londra
Edoardo Narduzzi
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Edoardo Narduzzi

La strategia di Londra

Un venerdì nero per la sterlina che in un solo giorno si è svalutata del 3,4% sul dollaro rivedendo valori che non si registravano più da 37 anni. Questa volta la moneta britannica non è stata messa alle corde dalla speculazione, come accadde nei primi anni novanta, esattamente dal 16 settembre del 1992, quando George Soros, shortandola senza pietà, la costrinse ad uscire dallo SME, ma dalle politiche fiscali da secolo scorso del nuovo premier Liz Truss.

È stata la presentazione di un pacchetto di tagli fiscali da 45 miliardi di sterline senza una chiara copertura, quindi di fatto in gran parte da finanziare con emissione di debito pubblico aggiuntivo, il grilletto che ha scatenato il sell off generalizzato degli investitori londinesi ed internazionali. Quali tagli fiscali ha deciso la Truss? Un misto di politiche fiscali vecchie, in stile governi conservatori degli anni ottanta, quando però le dinamiche dell’economia erano molto diverse, e di interventi da spesa corrente che in Italia definiremmo da “bonusificio”.

Il governo conservatore ha varato la riduzione dal 25 al 19% della tassa sugli utili delle società, il taglio di cinque punti percentuali dell’aliquota sui redditi più elevati delle persone fisiche, la creazione di 40 zone speciali di investimento a fiscalità minima, lo shopping senza Iva per i turisti ed infine il congelamento dell’incremento delle accise sugli alcolici insieme alla riduzione generalizzata del contributo dovuto alle imprese per finanziare le pensioni.

La logica sottostante alla manovra pare essere la convinzione che meno tasse sulle imprese possano favorire più investimenti e che liberare capacità di spesa in favore dei consumatori più ricchi si traduca in maggiori consumi con la speranza di aiutare, così, l’economia britannica ad evitare una brutta recessione che il conto della Brexit sta ora servendo su un piatto d’argento. Peccato che esistano ormai studi consolidati che dimostrano come non esiste una elasticità positiva tra il livello della tassa sugli utili lordi delle società e la loro funzione di investimento e che il maggiore reddito disponibile dei più benestanti tende a seguire logiche di consumo e risparmio poco omogenee. Ed è proprio la poca modernità, intesa come manovra fiscale capace di stimolare la crescita, abbinata alla non copertura che hanno mandato la borsa di Londra e la sterlina a fondo venerdì scorso.

La politica fiscale con la crisi energetica e l’inflazione in grande spolvero è tornata al centro del dibattitto di politica economica perché, ovviamente, non si può pensare che può fare tutto da sola la politica monetaria, come accaduto negli ultimi tre lustri. Quale lezione dovrebbe trarre la possibile Premier Giorgia Meloni dal fallimento della Truss? Primo, che tagli generalizzati dell’imposta sulle società in economie del post terziario hanno poco senso, perché è molto meglio destinare le risorse a defiscalizzare investimenti specifici quali quelli in settori ritenuti in grado di agire da moltiplicatori della ricchezza nazionale e dell’occupazione oppure nella ricerca e nell’innovazione.

Viviamo in un contesto nel quale alcuni settori produttivi più di altro possono aumentare il fatturato e il personale impiegato e questo aspetto deve essere centrale nelle politiche fiscali del ventunesimo secolo. Secondo, che sono oggi molto più apprezzate politiche di trasferimento del prelievo dai redditi ai consumi anche rimodulando le aliquote dell’Iva. Terzo, che gli interventi fiscali in favore della formazione del capitale umano sono quelli più utili anche perché possono essere accompagnati da politiche specifiche di riduzione del cuneo fiscale e sostegno all’occupazione giovanile.

Prima di decidere qualsiasi intervento fiscale la Meloni non senta soltanto i consigli o le proposte degli esperti sessantenni o settantenni ma si circondi anche di bravi economisti trentenni e quarantenni che capiscono molto meglio come e perché i tagli fiscali possono favorire la buona crescita e la buona occupazione migliorando anche la capacità di esportare e di essere competitivi nei prodotti intangibili.

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